La Procreazione medicalmente assistita, detta anche fecondazione artificiale, comprende tutte le tecniche che favoriscono il concepimento, quando questo risulta difficile o impossibile spontaneamente e non siano disponibili adeguati interventi farmacologici o chirurgici.
Tali tecniche comportano il trattamento di oociti, spermatozoi o embrioni in modo tale da riuscire ad avere una gravidanza e sono distinte in tecniche di I, II e III livello, a seconda della complessità e del grado di invasività tecnica e psicologica:
- le tecniche di I livello sono semplici e poco invasive e permettono la fecondazione direttamente nell’apparato genitale della donna;
- le tecniche di II e III livello sono più invasive e sono precedute da fecondazione in vitro.
Nella fase acuta della pandemia da SARS-CoV-2 la European Society for Human Reproduction and Embryology (ESRHE) e l’American Society for Reproductive Medicine (ASRM) hanno raccomandato di sospendere i trattamenti per la fertilità (induzione di ovulazione, inseminazione intrauterina e fecondazione in vitro). Così sono state sospese procedure come crioconservazione non urgente dei gameti, cancellati i trasferimenti di embrione e sospese le procedure chirurgiche e diagnostiche non urgenti.
Non sono stati iniziati nuovi trattamenti e si è raccomandato di seguire il protocollo di Freezeall cioè di congelamento completo di ovociti o embrioni, non seguito da un loro trasferimento, per le coppie già sottoposte a stimolazione ormonale. Nei casi più urgenti,si poteva considerare la possibilità di crioconservare i gametiper garantire la conservazione della fertilità.
In una fase iniziale, la mancanza di conoscenze precise sui possibili effetti del virus e i pericoli correlati alla diffusione del contagio hanno portato alla decisione di bloccare tutti i trattamenti per la fertilità, anche per evitare un eccessivo carico di lavoro per gli ospedali e il personale sanitario.
A partire però già dal 5 maggio 2020 in Italia i trattamenti sono ripresi in maniera graduale. Le precauzioni da osservare sono raccolte in una nota tecnica pubblicata dal Centro Nazionale Trapianti (CNT) e dal Registro PMA dell’ISS (vedi qui).
Le società scientifiche hanno continuato e continuano a pubblicare e aggiornare periodicamente le linee guida, con indicazioni da seguire in termini di servizi, modalità di trattamento, visite ecc sottolineando l’importanza di un adattamento a seconda del rischio specifico derivato dal numero di casi positivi locali.
Allo stato attuale non si evidenziano prove scientifiche che indichino un rischio specifico di trasmissione dell’infezione attraverso le pratiche di Procreazione Medicalmente Assistita. Tuttavia, dati i risultati limitati e non conclusivi sull’effetto del virus sulle gravidanze soprattutto iniziali, si è ritenuto consigliabile attendere il passaggio del picco delle infezioni prima di intraprendere i cicli di PMA, ad eccezione dei trattamenti non differibili. Tale decisione ha avuto inevitabilmente delle conseguenze importanti.
Ritardare le procedure di fecondazione medicalmente assistita, infatti potrebbe non essere così semplice per alcune categorie di persone. I problemi associati ad un possibile blocco prolungato dei trattamenti di PMA sono tanti soprattutto per i pazienti più “difficili”, che rappresentano il 30-50% dei pazienti che si rivolgono ai centri di PMA: donne di età superiore ai 35 anni che vedono diminuire le probabilità di procreare o pazienti con cancro e altre condizioni (malattie autoimmuni, lupus, disordini ematologici), che richiedono trattamenti tossici per l’apparato riproduttivo e che vogliono preservare una futura possibilità di avere un figlio. Per tali condizioni le finestre temporali in cui è possibile interrompere il trattamento per favorire il concepimento sono spesso molto limitate, programmate e difficilmente prorogabili.
Un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità italiano mostra come si siano registrati 9289 cicli in meno di procreazione medicalmente assistita nei primi 4 mesi dell’anno rispetto al 2019, con una stima di 1.500 nati in meno e con una riduzione globale dell’attività dei Centri del 34,1%. Riduzione che ha raggiunto circa il 40% dell’attività nelle regioni del Nord Ovest, colpite da una maggiore diffusione del virus SARS-COV-2.
La sospensione dei trattamenti ha avuto anche delle conseguenze psicologiche, con maggiori livelli di emozioni negative, ansia e distress sperimentati dalle donne desiderose di avere un figlio.
Il coinvolgimento dell’infezione da SARS-CoV-2 nei sistemi riproduttivi maschile e femminile non è ancora compreso del tutto, anche se l’esperienza derivante dalle precedenti infezioni da coronavirus può essere utile per definire le modalità dell’infezione a livello dei tessuti.
I dati attuali suggeriscono che il sistema riproduttivo femminile potrebbe essere meno soggetto all’infezione virale mentre quello maschile sarebbe più a rischio. Inoltre allo stato attuale le evidenze suggeriscono come il virus abbia una maggior incidenza e severità nel sesso maschile rispetto al sesso femminile. Le ragioni sono ancora sconosciute, tuttavia molti studi suggeriscono che un recettore, l’ACE2 (angiotensin converting enzyme-2) sia uno dei fattori che facilita l’entrata del virus nelle cellule e la sua replicazione. ACE2 è altamente espresso nel tratto genitale maschile e, sebbene in misura minore, in quello femminile.
Considerando che il virus SARS-CoV-2 utilizza la proteina ACE2 come recettore e porta di entrata nelle cellule, un possibile effetto del virus sul sistema riproduttivo femminile non può essere escluso, anche se i dati al momento sono limitati. Studi condotti durante la precedente epidemia da SARS, con tecniche istochimiche e di ibridazione in situ, (tecniche che permettono di vedere nei tessuti la presenza di proteine ed acidi nucleici), su un piccolo gruppo di pazienti infettate da SARS-CoV, non evidenziavano presenza di RNA virale nel tratto riproduttivo femminile, includendo il tessuto uterino e delle ovaie, anche se i recettori ACE2 potevano essere ritrovati.
Le prove disponibili suggeriscono che ACE2 è ampiamente espresso in ovaie, utero, vagina e placenta. La proteina ACE2 modula a sua volta i livelli di altre due proteine: angiotensina II (AngII) e Ang-(1-7)). AngII svolge un ruolo importante nella riproduzione femminile regolando ad esempio i cicli mestruali, favorendo lo sviluppo del follicolo e la maturazione degli ovociti, influenzando l’ovulazione ed altro. Tenendo conto di queste funzioni, l’infezione da SARS-CoV-2 potrebbe quindi danneggiare le funzioni riproduttive femminili, determinando diminuzione della riserva ovocitaria, disordini mestruali e pericolo per il feto.
Tuttavia, allo stato attuale sono pochi e spesso non confermati, gli studi che riportano la presenza del virus nel tratto riproduttivo femminile o nelle secrezioni vaginali.
Dati i risultati ancora molto limitati e non conclusivi, gli esperti suggeriscono di controllare nel tempo e valutare la fertilità femminile, dopo guarigione dall’infezione virale, e ritardare le gravidanze, soprattutto nelle donne più giovani
Allo stato attuale non ci sono evidenze scientifiche che l’infezione da nuovo coronavirus causi infertilità maschile. Gli esperti hanno tuttavia indicato diversi fattori che potrebbero agire direttamente o indirettamente influenzando la fertilità maschile.
Alcuni studi evidenziano una riduzione dei livelli di testosterone, conta e mobilità spermatica.
Un piccolo studio ha rilevato che gli uomini che avevano casi moderati di COVID-19 (che necessitavano di cure ospedaliere) presentavano una conta spermatica minore e più lenta circa un mese dopo il recupero rispetto agli uomini sani o che avevano avuto una forma di infezione lieve. Inoltre, una certa percentuale di pazienti manifesta orchite (infiammazione testicoli) come complicanza in seguito all’infezione da Sars-CoV-2.
Altra fonte di preoccupazione per la fertilità maschile è la febbre alta, uno dei sintomi di COVID-19: è noto che alte temperature del corpo possono danneggiare la spermatogenesi. Inoltre una parte dei pazienti con Covid-19 soffre di una cosiddetta “tempesta di citochine”, una sindrome iperinfiammatoria che danneggia molti organi. Poichè le citochine contribuiscono alla funzione dei testicoli e al mantenimento della salute riproduttiva maschile, i cambiamenti nei profili delle citochine indotti da COVID-19 possono avere effetti sulla fertilità maschile.
Non ci sono informazioni sufficienti per sapere quanto spesso ciò possa accadere o se l'infezione da COVID-19 possa avere effetti a lungo termine sulla fertilità di un uomo. Non ci sono prove di una maggiore probabilità di difetti alla nascita se il padre o il donatore di sperma ha la COVID-19. In generale, si ritiene improbabile che l'esposizione che hanno i padri oi donatori di sperma aumenti i rischi per una gravidanza.
Per quanto sappiamo non ci sono stati studi sulla fertilità maschile durante le precedenti epidemie di SARS e MERS: forse perchè si trattava di virus meno contagiosi e le epidemie hanno avuto una minore durata. Adesso il numero di persone coinvolte è molto più alto ma gli studi mirati sugli effetti dell’infezione sulla fertilità maschile sono pochi e non definitivi.
La possibilità di danno ai testicoli e successiva infertilità esiste ma, al momento, è teorica e potrebbe derivare sia dall’invasione diretta del virus o essere conseguente ad una risposta immunologica e infiammatoria: in ogni caso è una possibilità da tenere in considerazione.
L’esperienza delle epidemie virali precedenti suggerisce che il virus potrebbe essere presente nel liquido seminale ma nel caso del nuovo coronavirus la quantità di virus trovata in regioni non respiratorie è risultata bassa, per cui basso dovrebbe essere anche il rischio di trasmissione virale attraverso lo sperma.
I risultati sono attualmente molto limitati: un solo studio ha rilevato la presenza di Sars-CoV-2 nello sperma di un esiguo numero di uomini, alcuni in fase acuta, altri in fase di remissione. E tale risultato non è stato confermato da altri studi, nei quali l’analisi del liquido seminale,in fase acuta e dopo 1 mese dalla diagnosi di COVID-19, non ha rilevato la presenza del virus, così come anche i dati sulle secrezioni vaginali. È importante considerare che la presenza del virus nello sperma non implica necessariamente che questo possa essere trasmesso sessualmente.
Basandosi sui dati attualmente pubblicati non sembra che il virus SARS-CoV-2 possa essere trasmesso per via sessuale. Un rischio basso è comunque accettabile se si deve criopreservare il seme? La maggior parte dei virus rimangono vitali a temperature bassissime. Ad esempio il virus dell’influenza rimane infettivo dopo 40 anni di crioconservazione. Così anche il SARS-CoV-2 potrebbe rimanere vitale.
D’altra parte, ad oggi non si sono registrati casi di cross-contaminazione tra campioni di seme crioconservati. Questo non elimina il rischio che il virus sia presente nei campioni per cui è necessario usare tutte le precauzioni possibili per evitare la diffusione del virus.
Si raccomanda comunque cautela alle coppie che pianificano una gravidanza naturale o la riproduzione assistita.
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