Capire come comportarsi in una situazione pandemica, grazie ad informazioni chiare e aggiornate è di vitale importanza. E lo diventa ancora di più considerando le persone affette da patologie preesistenti, come la psoriasi. La paura e la preoccupazione legate al virus possono indurre o aumentare il distress psicologico vissuto dalle persone. In alcune condizioni, come la psoriasi, per le quali è riconosciuta la forte implicazione stressogena, tale situazione può acuirsi.
La task force COVID-19 della National Psoriasis Foundation (NPF) il 3 settembre 2020, e successivamente aggiornata il 7 gennaio, ha pubblicato la sua "Guida per la gestione della malattia psoriasica durante la pandemia", di cui riporteremo alcune indicazioni nei paragrafi successivi.
I soggetti affetti da psoriasi o artrite psoriasica devono adottare le comuni norme per evitare il contagio da SARS-CoV-2, come indicato dal Ministero della Salute:
- Portare sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie e indossarli nei luoghi al chiuso e in tutti i luoghi all'aperto quando non possa essere garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi.
- Mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
- Lavarsi spesso le mani con acqua e sapone o in assenza con soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani.
- Evitare i luoghi affollati, gli ambienti chiusi con scarsa ventilazione e la distanza ravvicinata.
- Garantire una buona ventilazione di ambienti chiusi, inclusi abitazioni e uffici.
- Evitare abbracci e strette di mano.
- Starnutire e/o tossire in un fazzoletto evitando il contatto delle mani con le secrezioni respiratorie.
- Evitare l'uso promiscuo di bottiglie e bicchieri, in particolare durante l'attività sportiva.
- Non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani.
- Non assumere farmaci antivirali e antibiotici, se non prescritti dal medico.
- Pulire le superfici con acqua e sapone o comuni detergenti neutri per rimuovere lo sporco e poi disinfettarle con soluzioni a base di ipoclorito di sodio (candeggina/varechina) o alcol adeguatamente diluite.
Per informazioni più precise vedi qui.
Nei soggetti con COVID-19, si evidenziano alti livelli di alcune piccole proteine, le citochine, che giocano una duplice azione: da un lato stimolano l’attivazione di un’efficiente risposta immunitaria, e dall’altro determinano un’esagerata infiammazione sistemica. Con l’evoluzione dell’infezione si verifica una tempesta di citochine, uno stato di iperinfiammazione, che ha un effetto negativo sull’organismo conducendo alla sindrome da distress respiratorio acuto.
Alcuni farmaci utilizzati nel trattamento della psoriasi e dell’artrite psoriasica (inibitori del TNF-a, dell’IL-27, dell’IL-12/23) come adalimumab, infliximab, secukinumab, ustekinumab agiscono proprio a livello di specifici mediatori nella cascata infiammatoria e potrebbero avere degli effetti nel contesto di un’infezione da SARS-CoV-2, mitigando la tempesta di citochine.
Nel complesso, le principali cause di esiti severi o morte da COVID-19 sono età avanzata (> 65 anni) e alcune patologie sottostanti quali cancro, malattia renale cronica, broncopneumopatia cronica ostruttiva, obesità, fumo, malattia coronarica o cardiomiopatie, anemia falciforme o diabete di tipo 2. Ulteriori condizioni che potrebbero aumentare il rischio includono, a titolo esemplificativo, asma da moderata a grave, patologie cerebrovascolari, ipertensione, malattie epatiche, gravidanza, diabete di tipo 1, uso di farmaci immunosoppressori.
Considerando la psoriasi, chi ne è affetto presenta un più alto rischio di infezione, incluse infezioni respiratorie e polmonite, rispetto alla popolazione generale. Esiste una relazione bidirezionale tra psoriasi e infezioni: da un lato le infezioni potrebbero innescare la psoriasi, dall’altro, la psoriasi può essere associata a infezioni più severe. Come la psoriasi sia legata a questo maggior rischio rimane da determinare.
Allo stato attuale non esistono evidenze scientifiche documentate che indichino un rischio maggiore di infezione da SARS-CoV-2 rispetto al resto della popolazione. Ad ogni modo, in virtù del fatto che la psoriasi (soprattutto severa) presenta un elevato tasso di comorbidità, alcune delle quali particolarmente suscettibili al nuovo coronavirus, in tale fascia di popolazione l’attenzione deve rimanere alta.
Alcuni trattamenti per la psoriasi inibendo parzialmente il sistema immunitario, potrebbero aumentare il rischio di infezione, rendendo cioè teoricamente più probabile un contagio.
Tuttavia, i dati attualmente presenti indicano che i pazienti con psoriasi in trattamento con terapie immunosoppressive (IL-17, TNF-a, IL-12/23) non sono associati ad un più alto rischio di complicanze severe, ospedalizzazione o decesso quando paragonati al resto della popolazione e i risultati non mostrano un aumento di incidenza di infezione severa, sia in quelli all’inizio del trattamento sia in quelli nel periodo di mantenimento.
Considerando anche le comorbidità, l’interruzione delle terapie potrebbe essere maggiormente giustificata. Ad ogni modo, anche in questo caso, alcuni risultati mostrano come, anche in presenza di comorbidità metaboliche e cardiache, non si sono verificati decorsi più sfavorevoli rispetto alla popolazione generale.
Nonostante siano limitati i dati specifici per il COVID-19, sono presenti dati più generali sul rischio infettivo degli agenti biologici, i quali confermano che i farmaci biologici per la psoriasi non mostrano un sostanziale aumento del rischio infettivo, rispetto al placebo.
E paradossalmente alcuni esperti sostengono che alcune delle terapie immuno-modulanti utilizzate per le psoriasi e l’artrite psoriasica, possano essere usate per trattare alcuni casi di coronavirus.
Se l’infezione da SARS-CoV-2 possa causare direttamente un peggioramento di preesistenti patologie croniche infiammatorie come la psoriasi, rimane da determinare. Sono presenti alcuni esempi di esacerbazione di condizioni preesistenti, ma al momento rimangono casi piuttosto isolati.
Sono stati segnalati inoltre alcuni casi in cui l’infezione ha determinato l’insorgenza ex novo di alcune patologie autoimmuni tra cui la psoriasi.
Come abbiamo accennato, c’è una generale preoccupazione riguardo all’uso di farmaci immunosoppressori in pazienti con psoriasi, sulla possibilità che possano aumentare il rischio e la gravità dell’infezione. Il rischio specifico individuale dipende da numerosi fattori incluso il tipo di farmaco, il numero di farmaci assunti, la presenza di comorbidità.
Allo stato attuale gli esperti non raccomandano la sospensione dei trattamenti biologici o delle terapie orali nei pazienti affetti da psoriasi o artrite psoriasica. La decisione della continuazione o sospensione del trattamento è consigliabile venga sembra discussa e decisa insieme al proprio medico.
Nonostante le possibili incertezze, i primi dati suggeriscono che il beneficio del continuare il trattamento per la patologia psoriasica superi gli ipotetici rischi associati al trattamento immunomodulatore sugli effetti del COVID-19.
Un’interruzione di alcuni biologici potrebbe risultare, in una riacutizzazione della malattia (con conseguente diminuzione della qualità di vita e ospedalizzazione), in una perdita di risposta qualora il trattamento venga reintrodotto, o addirittura risultare nella formazione di anticorpi contro i biologici.
Tali affermazioni sono in linea con quanto sostenuto dalle maggiori società scientifiche esperte in materia, come La Lega Internazionale delle Società Dermatologiche (ILDS) e l’Accademia Americana di Dermatologia (AAD). Queste suggeriscono una continuazione del trattamento (terapie sistemiche) nei soggetti negativi o asintomatici, e una possibile interruzione o iniziazione tardiva nei pazienti contagiati o in quelli che si trovano in condizioni ad alto rischio.
Data la complessità e l’eterogeneità delle condizioni ogni caso andrà considerato individualmente tramite un confronto con il proprio medico di riferimento per valutare insieme rischi e benefici.
In generale è sconsigliato l'uso di vaccini vivi in soggetti in trattamento con farmaci che influiscono sul sistema immunitario. Allo stato attuale, i vaccini disponibili (prodotti da Pfizer, Moderna e AstraZeneca) sono vaccini non vivi. Le attuali raccomandazioni delle principali società scientifiche in materia consigliano di somministrare il vaccino a persone con malattia psoriasica, a meno che non siano presenti precise controindicazioni alla vaccinazione.
Attualmente non ci sono prove che i vaccini COVID-19 abbiano alcun effetto sulla gravità della psoriasi o dell'artrite psoriasica, e gli esperti, sulla base delle conoscenze attuali,consigliano di continuare le terapie in corso durante il periodo di vaccinazione.
Saranno comunque necessari studi mirati per comprendere l'efficacia del vaccino in questi soggetti e gli eventuali effetti sui sintomi della malattia psoriasica.
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